Dove si nasconde il lupo

Titolo: Dove si nasconde il lupo
Titolo originale: רילוקיישן Relocation
Autore: Ayelet Gundar-Goshen
Nazionalità Autore: Israele
Data di Pubblicazione: 6 settembre 2022
Editore: Neri Pozza
Genere: Narrativa Contemporanea
Pagine: 304

«Vedo ancora quelle minuscole dita di neonato e cerco di capire se siano diventate le dita di un assassino». Il mondo di Lilach Shuster sta crollando. Tutto è cominciato il giorno in cui un uomo afroamericano armato di machete è entrato nella sinagoga riformata di Palo Alto e ha versato il sangue di innocenti. Lilach pensava di avere tutto: una casa con piscina nel cuore della Silicon Valley, un marito di successo, un impegno nel volontariato e la sensazione di vivere in un luogo dove non è necessario difendersi sempre, come nel loro paese d’origine, Israele. La vita sotto il sole carezzevole della California non aveva nulla a che vedere con quella condizione di allarme permanente in cui sono nati Lilach e suo marito Michael, ma in cui non volevano crescere il loro figlio Adam. Dopo i fatti di Palo Alto, quella sensazione di pericolo è tornata, come se fosse sempre stata lì. La preoccupazione per Adam, quell’adolescente introverso e gracile come un uccellino, è diventata ansia protettiva, terrore per la sua incolumità. Ogni sera Lilach scruta il volto del figlio in cerca di uno spiraglio in quel guscio che lo racchiude, con la domanda inespressa tra le labbra: cosa hai fatto, figlio mio, nelle lunghe ore in cui siamo stati separati?
Poi una sera, a una festa, un compagno di scuola di Adam, Jamal Jones, muore e c’è chi pensa che sia stato lui a ucciderlo. Sui muri della scuola compaiono scritte antisemite che lo accusano. Lilach non sa più chi è suo figlio, ma teme di conoscere più di un motivo per cui Adam avrebbe voluto uccidere Jamal.
Ayelet Gundar-Goshen costruisce il suo nuovo romanzo intorno alla paura, la paura del futuro, la paura dell’altro, ma anche la paura di chi ti sta più vicino e può rivelarsi estraneo, il lupo nella tua casa. Un romanzo in cui non ci sono confini netti tra innocenza e colpa, sopruso e giustizia, e la verità appare complessa e inafferrabile come nella vita vera.

«Vedo ancora quelle minuscole dita di neonato e cerco di capire se siano diventate le dita di un assassino».

Aspettavo da un pò l’uscita di questo quarto libro di Ayelet Gundar-Goshen perchè da quando ho letto il suo primo libro Una notte soltanto, Markovitch non ho potuto fare a meno di leggere anche gli altri perchè quest’autrice è riuscita ad incantarmi con la sua prosa, la complessità dei suoi personaggi e per tutte le situazioni limite che esplora nei suoi libri. E Dove si nasconde il lupo, sin dalla sinossi lascia presagire dove ci condurrà la storia e su quanti quesiti saremo chiamati a riflettere.

Il libro inizia con un dubbio atroce che sarà il filo conduttore nei pensieri della nostra protagonista per tutto l’arco narrativo. Conosciamo veramente i nostri figli? Come in tutte le storie di Ayelet Gundar-Goshen anche in questo libro ci sono diversi personaggi ma la protagonista principale è Lilach Schuster vive a Palo Alto, una ricca zona di San Francisco, con il marito Michael e il figlio Adam. Michael è un professionista di grande successo nella Silicon Valley e Adam è un sedicenne tranquillo, solitario e molto dolce. La famiglia sta bene economicamente e vivono in una grande casa con piscina: le migliori condizioni per condurre una vita felice e privilegiata, lontano dai disordini e dai problemi politici della loro patria Israele, dalla quale si sono allontanati per fare crescere i figli in un ambiente sicuro. Ma poi, durante il capodanno ebraico, c’è un attacco alla sinagoga in cui viene uccisa una giovane ragazza, che scuote la comunità ebraica. Uno degli immigrati israeliani, un certo Uri offre quindi un corso di autodifesa per i ragazzi ebrei, a cui con riluttanza e convinto dai genitori, partecipa anche Adam. A poco a poco, Adam inizia ad apprezzare il corso, sboccia e nutre una grande ammirazione per Uri il suo istruttore. Tutto sembra andare per il verso giusto, finché Jamal Jones, uno dei compagni di classe neri di Adam, muore ad una festa con il sospetto di essere stato drogato con Metanfetamine e ben presto i sospetti ricadono su Adam perchè per anni era stato vittima di bullismo da parte di Jamal. D’ora in poi, Lilach dovrà chiedersi se sia possibile che Adam sia veramente collegato alla sua morte ed inizia un’incessante ricerca per escludere che il proprio figlio possa essere davvero un assassino.

“E tu dici sempre che il fatto di nascere uomini non significa necessariamente che ci si comporti umanamente”.

La storia è raccontata interamente dal punto di vista di Lilach. Lilach è una madre amorevole, ama suo figlio più di ogni altra cosa e vuole proteggerlo da tutto il male di questo mondo. Adam è un adolescente di 16 anni solitario, con pochi amici e non condivide con nessuno dei genitori come è andata la sua giornata a scuola. E quando Lilach capisce che il figlio è stato vittima di bullismo entra in uno stato quasi psicotico, cercando in tutti i modi di autoconvincersi che il suo dolcissimo bambino non potrebbe mai fare del male a qualcuno, molte sono le domande che si pone: Adam ha qualcosa a che fare con la morte del suo compagno di classe? Davvero conosce ancora suo figlio? Ma non sono le sole domande su cui l’autrice ci invita a fare delle riflessioni; una che mi ha colpita e penso che a molti di noi genitori è capitato di dover rispondere è se preferiamo educare i nostri figli come vittime o prepotenti. Non è semplice perchè nessuno mai vorrebbe i propri figli vittime, umiliati e maltrattati dai bulli, per quanto mi riguarda sicuramente non prepotenti perchè la violenza genera altra violenza, intanto ci viene da chiedersi fino a quando una vittima può subire? L’umiliazione, i soprusi alla fine possono portare comunque ad una reazione di vendetta. L’autrice riesce a portarci in situazioni estreme in cui è veramente difficile capire un modo giusto, netto dove schierarci, perchè fino a quando le cose non ci toccano personalmente sembra molto semplice ed è per questo che la Goshen ci mette nei panni della protagonista. E come negli altri suoi libri ci fa sempre la domanda “E tu, che cosa avresti fatto?” «Pensiamo a cosa può mettere in pericolo i nostri figli. E se la vera minaccia fossero loro? Tra aggredire e essere vittima deve esserci una terza via»

Al di là dello stile dell’autrice, che adoro per la sua scrittura onesta e diretta, ovviamente, sono stata particolarmente colpita dai personaggi e dai loro rapporti reciproci. L’autrice sa elaborare e chiarire le più diverse sfumature tra le persone: Nessuno in questo libro è tutto buono o tutto cattivo, ognuno ha i suoi lati simpatici e antipatici, emergono reti di bugie e pregiudizi, frustazioni e incomprensioni, fiducia e sfiducia e soprattutto paura. Il libro tocca la difficoltà di essere immigrati israeliani in America, il divario culturale tra l’infanzia israeliana dei genitori e l’infanzia americana dei figli, la bolla di sicurezza che scoppia non appena si incontra l’antisemitismo, ma soprattutto, come ho detto prima, tutto il libro tocca la domanda che preoccupa ogni genitore: quanto conosco davvero mio figlio adolescente. Lilac scopre che sebbene pensi di conoscere Adam, in realtà non sa nulla di lui, descrive accuratamente la distanza tra un genitore e il suo ragazzo adolescente, e allo stesso tempo il divario tra i membri della famiglia che sono rimasti in Israele e quelli che sono immigrati negli Stati Uniti, non a caso la madre di Lilac le rinfaccia di averle tolto il ruolo di nonna. Come si può creare questa relazione a miglia di distanza? Ed è un argomento che mi ha colpito molto perchè dovrò affrontare a breve questo tipo di relazione a distanza, e so già che per molto tempo dovrò rinunciare alla gioia di abbracciare i nipoti, ma non è solo quello che mi preoccupa perchè io sono sicura che li amerò, ma quanto stretto e forte potrà essere il loro legame con noi, quando nell’infanzia è così fondamentale la presenza ed il contatto fisico?

“…Sai, una volta credevo che il più grande mistero della vita fossero i nostri genitori. Oggi penso che forse il più grande mistero della vita di una persona sono i suoi figli”.

Questa è una storia che suscita molti spunti di riflessione su cosa significa trasferirsi a vivere in un altro paese, sulla genitorialità, sui comportamenti a cui un genitore dovrebbe prestare attenzione. Non mi è sempre piaciuto il personaggio di Lilach, vero è che difende il figlio davanti agli altri e allo stesso tempo riflette e comincia a porsi delle domande. Ma com’è possibile che non si sia accorta che il figlio era vittima di bullismo? Come ha fatto a non vedere i segni ed accettare placidamente le giustificazioni per gli oggetti, indumenti che il figlio sosteneva di perdere? E quando capisce che qualcosa non va, sbaglia a non mettere alle strette il figlio, ha chiuso gli occhi quando in pratica avrebbe dovuto essere più presente. Forse è la paura che suo figlio smetta di amarla, ma secondo me a volte è necessario avere anche un confronto duro piuttosto che lasciar perdere. Per quanto riguarda Michael è sicuramente un uomo affermato che si dedica interamente alla sua carriera, ma lascia spesso la gestione del figlio alla moglie e spesso era in netto contrasto con lei su come educare il figlio quando era bambino; ha fatto di tutto per spronarlo ad essere attivo, più combattivo, a reagire, non accettava proprio l’idea che il proprio figlio potesse crescere subendo ed essere una vittima; e quando Uri inizia ad istruirlo a combattere, a essere più forte ne era così compiaciuto da non accorgersi del vero scopo per cui Uri si era avvicinato alla sua famiglia.

“Non ho intenzione di allevare una vittima. Un prepotente non è un granché, ma lo si può educare. Vittime si resta per tutta la vita.”

Non sono rimasta particolarmente sorpresa da questa lettura perchè sapevo già cosa aspettarmi da questa autrice e devo dire che non mi ha affatto delusa, è stata una storia che mi ha coinvolta sin dall’inizio e che mi ha tenuta incollata alle pagine, una storia che mi ha permesso di immedesimarmi nelle situazioni difficili e mi ha permesso di riflettere. Una storia che tocca anche temi sociali: le difficoltà per le famiglie povere a vivere nella Silicon Valley dopo l’avvento dell’High Technology che ha fatto crescere il mercato immobiliare; quelli culturali, nello specifico di quanto è difficile vivere in Israele, sotto la continua minaccia di missili, o attacchi terroristici con la costante paura degli altri e di quanto sia preferibile trasferirsi per poter vivere in pace per poi comprendere infine, che l’odio razziale non ha confini. É stata una storia affascinante, psicologicamente snervante ma che non posso fare a meno di consigliare.

Voto 4,5/5


Dal Libro

Aveva sospirato, spiegato che il lavoro di amare un uomo è un grosso impegno, sfiancante e poco soddisfacente. E che il lavoro di amare un bambino è addirittura pericoloso. «Certo, vanno amati. Ma non dovrebbe essere il tuo lavoro. Perché a quel punto il tuo cuore è ostaggio di altri. E quello non è lavoro, tesoro mio, è prigionia».


Chi è Aylet Gundar-Goshen

Gundar-Goshen Ayelet nasce nel 1982. Si è laureata in Psicologia clinica all’Università di Tel Aviv. Redattrice per uno dei principali quotidiani israeliani, è attivista del movimento per i diritti civili del suo paese. È anche autrice di sceneggiature che hanno riscosso successo di critica e vari premi, tra cui il Berlin Today Award e il New York City Short Film Festival Award. Una notte soltanto, Markovitch ha vinto in Israele il Premio Sapir per la migliore opera prima.

Bibliografia: Una notte soltanto, Markovitch, Giuntina, 2015 Svegliare i leoni, Giuntina, 2017, Bugiarda Giuntina, 2019, Dove si nasconde il lupo Neri Pozza 2022.


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