Sotto la falce. Un memoir

Titolo Sotto la falce. Un memoir

Autore Jesmyn Ward

Editore NN

Pagine 272

Genere Biografia

Titolo originale Men We Reaped

Sotto la falce. Un memoir – Sinossi

Dal 2000 al 2004, tra DeLisle e altre cittadine del delta del Mississippi, Jesmyn Ward ha visto morire cinque persone care, cinque amici tra cui suo fratello Joshua: morti per overdose, per incidenti connessi all’alcol, per omicidio o suicidio. Nel tentativo di combattere il dolore e dare un senso all’accaduto, Jesmyn Ward decide di raccontare la loro storia, segnata dall’amore profondo della comunità ma avvelenata dal razzismo endemico e soffocante di quelle terre, dalla mancanza di un’istruzione adeguata e dalla disoccupazione, dalla povertà che alimenta una sfortuna implacabile. Le vite dei cinque amici si legano a quella dell’autrice, che torna indietro nel tempo in cerca delle origini della famiglia e della gente di DeLisle. La verità che porta alla luce è feroce: in Mississippi il destino degli uomini è determinato dall’identità, dal colore della pelle, dalla classe sociale, senza possibilità di riscatto. “Sotto la falce” è un memoir e un atto d’accusa, un racconto durissimo e commovente che diventa intimo e universale. Jesmyn Ward insegna come amare le proprie origini e lottare per liberarsene, e come vincere il dolore attraverso la letteratura per onorare i propri cari, restituendo loro la voce che in vita gli è stata negata.

“Ma questo dolore, nonostante tutto il suo terribile peso, insiste sul fatto che è importante. Quello che portiamo di Roger e Demond, CJ e Ronald dice che contano. Ho scritto solo le pepite della vita dei miei amici. Questa storia è solo un accenno di quanto valeva la vita di mio fratello, più dei diciannove anni che ha vissuto, più dei tredici anni che è morto. Vale più di quello che posso dire. E c’è il mio dilemma, perché tutto ciò che posso fare alla fine è dirlo”.

Sotto la falce è un libro di memorie incredibilmente potente, nel quale Jesmyn parla della morte delle persone più care che ha perso nell’arco di quattro anni. Con una chiarezza straziante e penetrante, una prosa lirica, cruda a volte lenta ma profonda, Jesmyn Ward scrive della sua infanzia, delle vite di quei giovani uomini che sono morti di morte così violenta e improvvisa, della sua stessa famiglia e del suo rapporto con i suoi genitori, della sua comunità e della disuguaglianza sociale.

Jesmyn Ward poses for a portrait outside her great-grandmother’s house in Pass Christian.

“I corpi degli uomini riempiono la mia storia familiare. Il dolore delle donne che hanno lasciato dietro di loro li attira dall’aldilà, li fa apparire come fantasmi. Nella morte, trascendono le circostanze di questo luogo che amo e odio tutto in una volta e diventano soprannaturali. “

Con una narrazione alternata tra la sua infanzia in ordine cronologico e le morti dei suoi giovani amici in ordine cronologico inverso, culminando con la morte del suo unico fratello, scopriremo com’è cresciuta e gli eventi precedenti alla morte di questi uomini. Descrive in dettaglio la difficoltà di crescere poveri e neri nelle zone rurali del Mississippi, di crescere in una famiglia con un padre assente perchè la madre lo manda via di casa dopo i suoi continui tradimenti, leggeremo della madre che si ammazza di lavoro per sfamare i figli e di come, essendo la figlia maggiore, Jesmyn inizia a prendersi cura dei suoi fratelli e di come, ancora adolescente, diventa una seconda madre per le sue sorelle e il fratello.

Grim memories Jesmyn Ward (left) with her sisters Charine and Nerissa at their grandmother’s house, where they grew up and where Ward’s memoir is set, in DeLisle, Mississippi.

“Pensavo che essere indesiderata, abbandonata e perseguitata fosse l’eredità della povera donna nera del sud. Ma da adulto, vedo di nuovo l’eredità di mia madre. Vedo come tutti i fardelli che ha portato, i fardelli della sua storia e identità e della storia e identità del nostro Paese, le hanno permesso di manifestare i suoi doni più grandi”.

La Ward ci mostra quanto sia radicato il razzismo nelle scuole e nelle istituzioni, di come sia difficile o quasi impossibile trovare lavoro per i giovani neri e di come sia normale che quei giovani vendano droga, possiedano armi e vengano uccisi senza ottenere alcuna giustizia. Jesmyn racconta come ci si sente ad essere una donna, una sorella, una madre o una moglie per quegli uomini sulle cui teste la morte pende come una spada. Ci narra inoltre di come affronta quelle perdite rifugiandosi nell’alcol e di come cerca di riconciliarsi con la rabbia provocata dalle disuguaglianze vissute dalla sua comunità e dalla morte del suo caro fratello.

“Abbiamo cercato di superare la cosa che ci inseguiva, che diceva: tu non sei niente. Abbiamo cercato di ignorarlo, ma a volte ci siamo sorpresi a ripetere ciò che diceva la storia, borbottando, facendo il lavaggio del cervello: non sono niente. Abbiamo bevuto troppo, fumato troppo, abusiamo di noi stessi, l’uno con l’altro. Eravamo sconcertati. C’è una grande oscurità che grava sulle nostre vite e nessuno lo riconosce”.

Un memoir davvero emozionante, potente per la sua crudezza e per l’esplorazione del dolore e della sofferenza, che tocca argomenti importanti come depressione e malattie mentali, aggressioni sessuali, razzismo, suicidio, bullismo e abuso di sostanze. Una toccante storia di dolore personale ma anche una storia di una più ampia tragedia sociale.

“Il messaggio era sempre lo stesso: sei nero. Sei meno di un bianco. E poi, in fondo: sei meno che umano”.

Voto 4/5

Nota: Ad inizio gennaio 2020, Jesmyn Ward, suo marito e i figli si sono ammalati di quella che pensavano fosse l’influenza. Lei e i figli sono stati subito meglio, ma il marito no. Bruciava di febbre. Non riusciva a respirare. Lei l’ha portato al pronto soccorso, dove dopo un’ora in sala d’attesa, è stato sedato e messo attaccato ad un ventilatore. I suoi organi hanno ceduto: prima i reni, poi il fegato. È morto entro quindici ore dal suo ingresso nel pronto soccorso. Aveva solo trentatré anni.


Dal Libro

“Come potevo sapere allora che questa sarebbe stata la mia vita: desideroso di lasciare il Sud e farlo ancora e ancora, ma perennemente richiamato a casa da un amore così denso da soffocarmi?”

“Ereditiamo queste cose che generano disperazione e odio per se stessi, e la tragedia si moltiplica. Per anni ho portato con me il peso di quella disperazione;

“Noi che viviamo ancora facciamo quello che dobbiamo. La vita è un uragano, e saliamo a bordo per salvare ciò che possiamo e ci inchiniamo a terra per accucciarci in quel piccolo spazio sopra la terra dove il vento non arriva. Onoriamo gli anniversari di morte pulendo le tombe e sedendoci accanto a loro davanti ai fuochi, condividendo il cibo con coloro che non mangiano più. Cresciamo i bambini e diciamo loro altre cose su chi possono essere e quanto valgono: per noi tutto. Ci amiamo ferocemente, mentre viviamo e dopo la nostra morte. Sopravviviamo; siamo selvaggi”.


L’AUTORE

Jesmyn Ward

Jesmyn Ward è nata il 1 aprile 1977 (età 44 anni), a DeLisle, Mississippi, Stati Unitiè è una scrittrice statunitense, inoltre lavora come professoressa associata all’Università Tulane di New Orleans.  Con Salvare le ossa (NNE 2018) e Canta, spirito, canta (NNE 2019) ha vinto due volte il National Book Award, prima donna dopo scrittori co­me William Faulkner, John Cheever, Philip Roth. NNE ha pubblicato anche La linea del sangue, che completa la Trilogia di Bois Sauvage, e Naviga le tue stelle, poeticamente illustrato da Gina Triplett.


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